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Sara Balducci

ESSERE ABBASTANZA!

Ogni volta che si parla di corpo, di bellezza, di canoni estetici, ci portiamo dietro un carico di cui non siamo affatto consapevoli. Questo libro ci dà l’opportunità di prendere consapevolezza dell’impatto sociale e del meccanismo di potere che si cela dietro all’industria della bellezza, perché sì, è qualcosa di creato, non è naturale, non è personale e non è oggettiva. 

Mai come in questo periodo trovo i germogli per un cambiamento, ma credo che il cambiamento sia ancora parecchio lontano. 

Ho letto questo libro come se leggessi un trattato, qualcosa di ricco, da assorbire nel valore e nel contenuto, in modo profondo e viscerale. 

Ho sentito il bisogno di leggere questo libro per me e per le persone che ho incontrato sulla mia strada, ho sentito il bisogno di dare contenuto a qualcosa che troppo spesso viene scambiato per buon senso, necessità, gusto personale o norma.

Il fatto è che, per un motivo o per l’altro, non andiamo mai bene, a noi stessɜ o alle altre persone:  troppo trucco, troppo sciattɜ, troppo grassɜ, troppo magrɜ, la cellulite da combattere, i peli da eliminare, le rughe da ridurre, l’età che fa paura, tutto troppo o troppo poco… ciò che fa parte della vita diventa qualcosa da combattere. 

Ma perché? In che posizione ci pone questo senso di inadeguatezza o superiorità di fronte agli altri esseri umani o di fronte a noi stessɜ? Che peso e che prezzo ha sulle nostre vite? E sulle società? E sulle politiche?

Davvero la bellezza o la rincorsa alla bellezza può avere un impatto politico? Beh, leggete questo libro!

Cerchiamo di capire quali meccanismi ci hanno portato a questo punto e quanto, tutto questo, sia stato strategico per rimanere un passo indietro, per sentirsi mancanti, ancora una volta, inadeguatɜ.

Credo sia il momento di dirsi che siamo “ABBASTANZA”! E non per pigrizia o perché rifuggiamo il cambiamento, ma perché possiamo farci del bene, senza necessariamente sentirci sempre mancanti, sbagliatɜ, senza valore.

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SQUID GAME: 6 (s)punti di riflessione per parlarne con gli e le adolescenti.

“Noi stessi siamo il nostro peggior nemico. Nulla può distruggere l’Umanità ad eccezione dell’Umanità stessa.”

P. Teilhard De Chardin

Di Squid Game se ne sta parlando moltissimo e sono pienamente d’accordo con chi sostiene che sia una serie assolutamente non adatta ai bambini e alle bambine, quindi è opportuno fare in modo che ci sia un reale filtro a ciò che i bambini e le bambine possano o non possano vedere. Questo perché, alcune immagini, alcune storie, alcuni contenuti, sono troppo violenti, disumanizzanti e non sono metabolizzabili dal cervello ancora in formazione di un* bambin*.

Ho sempre sostenuto che si possa parlare di ogni cosa con persone di tutte le età,  e lo credo fermamente tuttora, ma occorre un linguaggio e delle immagini adeguate, delle modalità che prendano in considerazione le diverse fasi di sviluppo. 

In questo articolo però vorrei proporre alcuni (s)punti di riflessione, per insegnanti e famiglie, per discutere di questa serie con i più grandi, che di certo avranno bisogno ugualmente di qualcuno che argomenti con loro ciò che hanno visto, analizzando i significati sottesi alla serie. Ovviamente è interessante sempre partire da ciò che i ragazzi e le ragazze hanno percepito, quali sono i pensieri, cosa hanno compreso, quali messaggi secondo loro volevano essere trasmessi ecc, ma di certo questa sarà un’occasione preziosa per aprire orizzonti di pensiero e iniziare a discutere attivamente di ciò vivono e vedono.

Ecco quindi 6 piccoli (s)punti per riflettere insieme a ragazzi e ragazze su SQUID GAME (ce ne saranno molti altri ma questi sono i primissimi che mi sono venuti in mente a caldo, dopo aver visto la serie):

  1. IL DEBITO COME TRAPPOLA

I personaggi del gioco sono per la maggior parte persone in debito economico con la società, con usurai, con le banche, sono persone che nella vita hanno perso, hanno giocato o hanno investito denaro non loro, hanno creato debiti, hanno distrutto le loro relazioni affettive, sono persone che, per ripagare i debiti fatti hanno addirittura ceduto i loro diritti corporei. Quante volte alcune persone si mettono in situazioni che possono attivare un meccanismo simile, pensiamo al gioco, alle dipendenze, alla partecipazione a bande, alle situazioni in cui per ottenere quello che voglio mi rendo dipendente da altri e facendolo perdo l’unica cosa che mi contraddistingue come essere umano, la libertà di scelta, perché smetto, a tutti gli effetti, di poter scegliere. 

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04 settembre – GIORNATA MONDIALE del BENESSERE SESSUALE

Nel 2010 è stata istituita una giornata dedicata al BENESSERE SESSUALE con lo scopo di divulgare una visione positiva e rispettosa della sessualità e delle relazioni fisiche, ma anche per fornire informazioni, parlare di rispetto, malattie, buone prassi e libertà.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2002, definisce la salute sessuale “come uno stato di benessere fisico, mentale e sociale (…) che richiede un approccio rispettoso, nonché la possibilità di avere esperienze sessuali piacevoli e sicure, libere da ogni coercizione, discriminazione e violenza. Per raggiungere e mantenere la salute sessuale, i diritti sessuali di OGNI ESSERE UMANO devono essere rispettati, protetti e soddisfatti.”

Quindi non è solo necessario promuovere una giornata per il benessere sessuale ma urgente, perché ancora troppe volte permangono pregiudizi e preconcetti nei confronti della sessualità, ancora troppi sono i tabù, troppe sono le violenze sessuali, troppi i comportamenti rischiosi, troppa la disinformazione, troppa la mancanza di rispetto all’interno delle relazioni e troppo poca la consapevolezza.

Spesso non è solo una questione di età, non sono solo i giovani e le giovani a compiere atteggiamenti preoccupanti, in molti casi sono anche le persone adulte a perpetuare dinamiche disfunzionali e poco rispettose relative alla sessualità.In Italia l’età media del primo rapporto sessuale avviene a circa 15 anni.

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Da che parte stare? Riflessioni umane.

“Mica possiamo aiutarli tutti”, “abbiamo già i nostri problemi”, “ma io non ce l’ho con chi viene a lavorare”, “rubano il lavoro”, “potevano stare a casa loro”, “portano malattie”, “io non sono razzista ma..”, “è colpa dei buonisti”, “è colpa dei taxi del mare”, “se si smette di salvarli smetteranno di partire”, “è finita la pacchia”, ….. potrei andare avanti per ore riempiendomi la bocca con tutte le banalità che ascolto e leggo continuamente. 

Eppure “Ama il prossimo tuo come te stesso” o “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” dovrebbero essere principi non solo cristiani ma ancora più antichi e profondi nell’umanità. 

Forse si sono dimenticati di dire che il prossimo deve essere molto vicino, bianco, benestante, di una regione o città particolare, del tuo stesso orientamento sessuale e del tuo credo, altrimenti merita di morire tra i peggiori dolori, umiliato, deprivato, abbandonato e derubato.

Ecco, in questa giornata che ricorda il riconoscimento dello status di rifugiato avvenuta nel 1951, vorrei dire che dopo 70 anni abbiamo un enorme problema di ETICA e MORALE. 

Nonostante anni e anni di storia e di storie, ancora non abbiamo capito che se diamo spazio agli egoismi personali non ci si salva.

Siamo esseri sociali, viviamo di reti, viviamo di migrazioni, di scoperte, di condivisioni, di contaminazioni e se non accade si diventa sterili, in tutti i senti. Nonostante questo, continuiamo a sentire frasi simili con soggetti diversi, gli Italiani (ma sono stati anche i settentrionali) attaccati dai terroni, poi gli albanesi, i rumeni, gli slavi, poi gli africani e così via, c’è sempre qualcuno da odiare di più, c’è sempre qualcosa che ci porta a differenziarci dagli altri e non nel contenuto ovvio di diversità umana ma con l’inutile presunzione di essere migliori, di creare un noi non specifico e un loro ancora meno specifico, nebbie, identità confuse.

Continuiamo a creare sottogruppi senza comprendere quanto sia ridicolo questo gioco all’etichettatura semplificata e questa modalità di pensiero, accompagnata da una scarsità di empatia, educazione civica e rispetto aggiunge un ulteriore problema ai due precedentemente citati: abbiamo un problema di ETICA, di MORALE e di VIOLENZA.

Non parlerò del medico fiscale di Chioggia aggredito durante un controllo da un fannullone violento, di quelli che i soldi allo stato li rubano per davvero, supportati da un vicinato altrettanto complice e abbietto, non parlerò del giovane ragazzo della Guinea, massacrato in pieno giorno da un branco di omuncoli, vittima di innumerevoli ingiustizie, personali, culturali, di sistema, statali, progettuali e vittima di uno stato che non ha saputo fornirgli il supporto necessario al suo arrivo e dopo l’atroce e gratuita violenza subita (per guardarlo in faccia e capire un pochino di più https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/05/30/moussa-balde-storia-di-un-ragazzo-e-dei-diritti-negati-pestato-e-abbandonato-era-diventato-lombra-di-se-stesso-indotto-a-togliersi-la-vita/?fbclid=IwAR2vebH0A4q9I8x87fltIkCR1aN2H9KpexvzFOef-0hICU6CPbkIc5Qci64 ).

Non parlerò delle migliaia di vite che si spengono in mare, nel deserto, nei campi di detenzione, dietro confini immaginari, dietro violenze rese legali o della cui illegalità ci interessa poco. Non parlerò di tutti i corpi di bambini e bambine, uomini e donne, ritrovati sulle spiagge che continuano a non destare l’adeguato scandalo https://fb.watch/69FAxpbKvf/, non parlerò delle centinaia e centinaia di persone rimandate in Libia, dove, sappiamo con certezza, verranno nuovamente stuprate, torturate, minacciate, vendute, uccise. Come se durante il nazismo, tutte le persone in fuga dai campi di concentramento, fossero state consapevolmente riportate ai loro aguzzini, follia, eppure oggi è realtà.

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LIBER* SEMPRE, LIBER* TUTT*

“Capii che per migliorare il mondo bisognava esserci”.

Tina Anselmi

Ho maturato un profondo desiderio di giustizia con il tempo. Non credo di esserci nata, perché in effetti, nei primi anni di vita, ho cercato sempre di imbrogliare mio fratello riuscendo a mangiare più crema al mascarpone di lui o convincendo mia madre che mettendo il collirio non vedevo e quindi non potevo fare i compiti per un po’. Il senso di giustizia è maturato con gli anni, man mano che mi rendevo conto che alcune persone non avevano le stesse possibilità delle altre, ogni volta che empatizzavo per il dolore altrui, ogni volta che un film, un documentario o una storia mi mostrava ciò che non avevo vissuto in prima persona e imparavo qualcosa che non sapevo. 

Il desiderio di giustizia non rimane quieto, non può, perché è urgente, fa male, ribolle nelle vene, si aggrappa alla gola quando capisci che per alcune persone giustizia ed equità, sono solo parole vuote. 

Stimo con amore e gratitudine chi ha trascorso la propria vita per rendere questo mondo un posto migliore, chi ha lottato contro il fascismo, il nazismo, il razzismo, la mafia, la violenza, l’ignoranza, il clientelismo, gli “aumma aumma”, i “vabbè tanto fanno tutti così”, i “fatti i fatti tuoi che campi cent’anni”; guardo con orgoglio tutti quelli che sono stati ribelli di un sistema corrotto, quelli che pur di dire la verità e fare giustizia ci hanno rimesso la vita o parte di essa. 

un progetto di arte pubblica di CHEAP con Testi Manifesti Michele Lapini photography

Ho sempre provato repulsione, fastidio e a volte dispiacere per quelli che sopprimono le libertà altrui, dittatori, passati e odierni, urlatori di banalità che si riempiono la bacheca di cagnolini e gattini, ma farebbero affogare in mare barconi stipati di uomini, donne, bambini e bambine per il solo fatto che sono Altri. Non importa chi, non sono identificati, non li conoscono, non ne conoscono il nome, il modo di fare, le intenzioni, i sogni, le storie, nulla, davvero nulla, ma per il solo fatto di esistere e di desiderare una vita migliore, meritano di morire. 

Ho sempre faticato a comprendere chi si opponeva alle possibilità di Altri, una cittadinanza per un bambino nato e vissuto nel mio paese, un matrimonio tra uomini o donne che si amano, la possibilità di adottare se posso farlo con amore e coscienza, a prescindere da chi dorme con me o se non ho una moglie o un marito. L’opposizione pura e semplice alla possibilità che Altri siano felici. Non importa se il proprio matrimonio è felice o devastato da tradimenti e menzogne, non importa se hanno o non hanno figli e non importa come li hanno cresciuti, non importa se sono violenti o amorevoli, importa solo il fatto che io posso avere una famiglia e non voglio che tu la abbia. Per altro, di solito, sono le stesse persone che se una donna non vuole un figlio o un marito, pare comunque un problema o qualcosa di strano. 

Provo un’enorme rabbia per chi pur vivendo dignitosamente, con una casa che protegge, del cibo sulla tavola, delle persone amorevoli attorno, appena si parla di supportare una persona senza casa, una famiglia vicino, senza denaro e senza sostegno, si nascondono dietro al “PRIMA GLI ITALIANI” o “PRIMA I NOSTRI PROBLEMI” come se i miei problemi fossero la causa dei tuoi, quando invece i tuoi problemi spesso derivano dalle azioni di ricchi e potenti e non poveri e nullatenenti, come una smisurata evasione fiscale, magheggi, conti all’estero, aumma aumma, “fai un favore a me che io ne faccio uno a te”, “vota per me che poi ti faccio costruire una casa a picco sul mare”, tangenti, mafia, corruzione, ecc. 

Il punto è che se invece di chiuderci in casa, alzando muri e urlando la nostra frustrazione, la aprissimo, ci incontrassimo e parlassimo di quello che ci turba forse potremmo superarlo insieme, nonostante i problemi di ognuno.

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